Valutare i costi di gestione anche in base alle performance

Quanto incidono i costi di gestione su un piano di investimento? E se un risparmiatore decide di fare da solo, avendone le capacità, può migliorare il proprio rendimento? Sono domande alle quali ha provato a dare una risposta uno studio condotto negli USA dal professor Derek Horstmeyer della George Mason University.

Lo studio, riportato qualche giorno fa dal WSJ, prende in considerazione i fondi pensione statunitensi. L’obiettivo era quello di verificare se, replicando le asset allocation dei cosiddetti target funds, un risparmiatore potesse effettivamente ricavarne un beneficio oppure no. I risultati non sorprendono. Replicando un target fund 2040 si ottiene un risparmio annuo dello 0.14%, pari ad un rendimento aggiuntivo cumulato del 2% su 10 anni.

E più si allunga l’orizzonte temporale, più i benefici aumentano. Tanto che lo studio conclude sostenendo che la soluzione a replica potrebbe portare molti benefici in termini pensionistici agli investitori più giovani.

Questi risultati non fanno altro che ricordarci un concetto molto importante: l’importanza di saper valutare e confrontare i costi di gestione degli strumenti o prodotti finanziari che ci vengono proposti, ricordando che più a lungo ci si impegna, come nel caso dei fondi pensione, più pesante può diventare il fardello di spesa da sopportare (e di converso più leggero il rendimento ottenuto).

Ma la valutazione dei costi di gestione non può prescindere dal considerare la performance di un prodotto finanziario. In parole semplici il ragionamento è il seguente. Se la gestione patrimoniale o il fondo pensione ha una commissione di gestione più alta rispetto ad una soluzione a gestione passiva (come gli ETF), potremo ritenere accettabile questo maggior costo solo se legato ad una maggiore capacità di generare rendimenti extra. Nel caso dello studio sopra riportato, solo il 10% dei fondi analizzati risultava essere più profittevole della gestione fai da te.

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